Consigli di Lettura
Pablito El Drito | Maggio, 2021 | them
Philippe Pelletier, Clima, capitalismo verde e catastrofismo, Eleuthera
“L’evocazione dei disastri ambientali presenti e soprattutto futuri, per definizione non verificabili, opera come uno spauracchio destinato a spaventare e a far sentire in colpa gli individui passivi o indifferenti. Spaventa le masse del presunto mondo post-industriale, mentre stigmatizza le folle dell’ex Terzo Mondo, ritenute colpevoli di voler entrare a far parte di questo mondo industrializzato; folle che alcuni vogliono mantenere in povertà”. Il geografo Philippe Pelletier, in questo provocatorio saggio appena tradotto da Eleuthera, smonta la narrazione dominante sul cambiamento climatico. Dimostra come dietro il catastrofismo tanto in voga negli ultimi decenni – secondo lui altrettanto pericoloso del negazionismo climatico – ci sia una gigantesca operazione ideologica e politica, che sovente manipola i dati scientifici in funzione di interessi di parte, che poco hanno a che vedere con la retorica della “salvezza” del nostro pianeta. Acuto, irriverente e controcorrente, “Clima, capitalismo verde e catastrofismo” è un testo divulgativo e di semplice lettura. Eppure è capace di far luce sui meccanismi dello spettacolo dell’ecologismo sensazionalistico tanto di moda negli ultimi decenni sui media mainstream, le cui tesi – di cui viene smontata la scientificità – hanno pure contagiato parte della riflessione dei movimenti politici, giovanili e non, degli ultimi anni.
Un fenomeno messo in moto e alimentato da una pluralità di lobby imprenditoriali, gruppi religiosi, conventicole di esperti manipolatori e marketer della “salvezza” dalle mani non sempre pulite sui cui era necessaria una riflessione critica senza paraocchi.
Paul Gilroy, The Black Atlantic, l’identità nera tra modernità e doppia coscienza, Mimesis
“The Black Atlantic, l’identità nera tra modernità e doppia coscienza” è un saggio di Paul Gilroy che getta luce sulla cultura nera diasporica. L’essenza dell’Atlantico Nero è costituita dal superamento, da parte della cultura nera diasporica, delle strutture dello stato nazione e dell’etnia per approdare ad un ibridismo culturale che fa leva sulla memoria della schiavitù e delle forme di discriminazione razziale, più che sui progetti politici del panafricanismo.
Gilroy approfondisce il pensiero dei primi ideologi del panafricanismo, dal tema della “doppia coscienza” di Du Bois a quello della “doppia visione” di Richard Wright fino al concetto di changing same di Amiri Baraka nell’analisi della musica blues. Un “medesimo che cambia” è proprio ciò che Girloy indaga anche nella produzione della musica delle comunità diasporiche del Black Atlantic, sostenendo che idee e stili musicali, proprio come le navi degli schiavi, hanno viaggiato, interagito e dato vita a un identità transnazionale autentica. “La musica e i suoi rituali possono essere utilizzati per creare un modello in cui l’identità non venga intesa né come un’essenza fissa né come una costruzione vaga e assolutamente contingente, progressivamente reinventata a seconda del volere e dei capricci degli esteti, degli amanti dei simboli e dei virtuosi giochi linguistici. L’identità nera non è soltanto una categoria sociale e politica da usare o abbandonare in virtù del limite imposto dall’efficacia persuasiva o dai vincoli istituzionali della sua stessa retorica, l’identità nera viene vissuta in base a un senso coerente (se non sempre stabile) e pratico del sé.” Un testo non sempre di facile lettura che lascia tuttavia impresso un messaggio chiaro, come nel testo di “Keep on Moving” dei Soul II Soul: i corpi neri del Black Atlantic esistono in molteplici spazi ibridi che non possono essere definiti esclusivamente in base a dove sono stati, dove sono o dove stanno andando.
Foto della mostra “Afro Modern. Journeys through the Black Atlantic” ispirata al libro di Paul Gilroy e curata da Tanya Barson Peter Gorschlüter.