L’ASSEDIO

Giuliano Manselli | Maggio, 2024 | them


Un Forestiero compra casa in paese, e comincia a fortificarla, il paese lo osserva e si chiede perché.
Questo racconta la pellicola perduta giunta nelle mani di Chevron e Shreds. Perduta insieme alla troupe. Perduta insieme al fotografo. Perduta come l’umanità.

Sospeso tra narrazione di genere e found footage, un racconto intorno al racconto che da divertissement si tramuta in oggetto d’arte.

autori: Andrew B. Shreds / Andrea Ferrari; Frank Chevron / Francesco Gallone

photo : Fred B. Prian / Barbara Barberis

graphic design:
DROMA Studio / Giuliano Manselli – Produced by DROMA Studio / 2023

Intervista a Andrew B. Shreds di Cornelio Donati

Quando ho preso in mano, per la prima volta, L’Assedio ho subito creduto che il potenziale di quel libretto e delle fotografie che l’accompagnavano fosse dirompente.

Il mio direttore, conscio del mio fiuto e del fatto che ho sempre amato girare per librerie indipendenti, mi ha dato mano libera e mi ha perfino concesso un piccolo budget per scovare i due autori Frank Chevron e Andrew B. Shreds.

L’impresa non è stata facile, ma dopo svariati giri a vuoto sono riuscito a concordare un appuntamento con Andrew B. Shreds all’Autogrill di Roncobilaccio. Seduto al tavolino di metallo, freddo, aspetto per oltre venti minuti l’arrivo del narratore e, distratto dall’andirivieni di bambini piangenti e anziani in cerca di sollievo alla toilette, quasi non mi accorgo della figura furtiva che mi si siede davanti, biascicando un traballante: “Sono Shreds, buongiorno”.

Ometterò la descrizione dell’uomo con cui ho parlato, per poco meno di una mezz’ora, come da lui richiesto, a causa di non meglio identificate precauzioni di sicurezza. Ne sottolineo comunque l’aspetto tirato, inquieto, e gli occhi che fiammeggiavano dietro le lenti degli occhiali spessi.

Gli porgo la mano, ma Shreds scuote la testa.

“Meglio di no”.

“Come vuole”.

Non mi stringe la mano e rifiuta anche di prendere un caffè o qualsiasi altra cosa. Mi dice che non dà il consenso alla registrazione dell’intervista, quindi vado di taccuino e lapis, alla vecchia maniera. Sono certo che vorrebbe addirittura perquisirmi, per vedere se nascondo qualcosa nelle tasche della giacca, ma il retaggio dell’educazione ricevuta non glielo permette.

“Signor Shreds, come mai ha deciso di accettare il mio invito? E il suo socio, Chevron, perché non è qui?”

“Non è più tra noi. Hanno detto che si è addormentato in un cottage, ubriaco, e la sigaretta che teneva tra le labbra ha incendiato il divano, la casa, gli appunti. Tutto. Di lui non rimane niente, se non il rammarico che l’entusiasmo di un invito, una piccola gratificazione, avrebbero potuto salvarlo. Ma è andata così. Non ci credo, non mi hanno permesso di vedere i suoi resti e neppure il cottage. Aveva preso dimora, da poco, vicino al paese di cui abbiamo narrato ne L’Assedio.

Ho deciso di incontrarla perché non credo giusto che L’Assedio, il film e la troupe fantasma vengano cancellati dalla memoria collettiva. Lo devo a Frank, e forse un po’ anche a me stesso”.

“Mi dica, che cos’è L’Assedio? L’ho letto, è inquietante senza essere spietato e disturbante senza essere volgare.”

“Abbiamo voluto dare forma alla paura. Quella personale, quella collettiva. Quella agita, quella subita e che, in ogni caso, monta come la panna. Irrazionale, forte, che fa i respiri corti. L’Assedio è una narrazione per intenzioni e immagini; le foto di scena di Fred P. Brian, le pizze di girato che ci ha consegnato Robert Tondelli e che abbiamo bruciato per imperizia, e l’orrore umano. Tutto questo, in così poche pagine e sole dieci fotografie. Abbiamo sceneggiato quello che c’era nelle pellicole bruciate e restituito le immagini con le nostre parole.

Volevo fare il pittore, da piccolo. Lo sa?”

“Come nasce L’Assedio a livello di scrittura?”

“Non nasce, semplicemente esce dalla collaborazione con Frank. Abbiamo condiviso ossessioni, immaginazione e materia letteraria, per anni. Anni. Così la cassa consegnataci da Tondelli è stata come il blocco di pietra di Michelangelo. La storia era nella cassa, noi l’abbiamo scoperchiata e abbiamo dato forma alle nostre ossessioni e all’orrore dell’uomo.”

“Ispirazioni e/o riferimenti letterari o extra letterari?”

“L’ispirazione non esiste. Quello che esiste è il fatto. Il fatto esiste e qualcuno lo deve narrare. Narrare non è per tutti, è una specie di condanna in vita. Mi capisce? E, dopo quello che mi hanno detto essere accaduto a Frank, credo che la pena continui a essere espiata anche dopo. Nel nostro narrare ci sono sempre state le stesse istanze: lo straniamento umano, l’orrore, i supereroi, l’arte figurativa e il cinema. Tanto cinema. Spesso cinema che entrava in contatto con determinate correnti pittoriche. Intendo per le soluzioni paesaggistiche, gli interni. I piccoli borghi e le città. Tutto insieme. Ciascuno nel suo piccolo inferno fatto di stereotipi, menzogne, costrizioni e condizionamenti.”

“Come nasce a livello editoriale?”

“Siamo entrati in contatto con i nostri editori per vie traverse. Il progetto ci sembrava perfetto. Loro non avevano paura della maledizione che, evidentemente, aleggiava sul racconto. Lo hanno pubblicato, hanno deciso come montare le foto di scena e hanno dato forma alla paura. La paura è fondamentale in questo racconto. E nelle nostre vite. Adesso, solo nella mia. Nessun successo, purtroppo. Se avessimo sfondato, Frank sarebbe ancora tra noi. Il successo illumina, e la luce è un’ottima difesa. Meglio di un giubbotto antiproiettile. Ora devo andare. Mi scusi, ma non sto mai più di tanto fermo in un posto. Leggerò il suo articolo.”

Questo è quanto mi ha detto Andrew B. Shreds prima di svanire come un soffio d’aria profumato di borotalco.

Intervista a Barbara Barberis / Fred B. Prian

Quando Francesco ( Frank Chevron ) mi ha proposto questa possibile collaborazione, una volta letto il racconto, ho subito pensato che il modo migliore per inserire degli elementi visivi all’interno della narrazione fosse quello di rendere le fotografie parte integrante dell’intreccio narrativo. Ho così proposto di aggiungere nell’introduzione della novella, incentrata sulla misteriosa sparizione di tutti coloro che hanno partecipato alla produzione del film “perduto”, il personaggio del fotografo di scena Fred B. Prian.

Dal punto di vista creativo questo mi ha permesso di muovermi all’interno dello schema finzionale ideato dagli autori, in cui essi stessi avevano fatto ricorso a degli alter-ego -Frank Chevron e Andrew B. Shreds- , con un approccio non didascalico.

Piuttosto che realizzare delle immagini puramente funzionali ad illustrare alcune scene della trama, grazie all’escamotage narrativo del personaggio di Prian, ho infatti provato ad evocare le possibili atmosfere del racconto in modo alternativo.

Ho così immaginato la figura di questo fotografo di scena, su cui gli autori hanno poi costruito un profilo caratteriale a livello di scrittura, al quale era stato dato il compito di fotografare alcune possibili location in cui ambientare il film. Delle dieci immagini finali quindi, che suddivise in coppie rappresentano cinque possibili diversi scenari, non viene mai esplicitato quali siano di fatto quelle poi utilizzate realmente nel film.

La figura di Fred Prian è pensata come un fotografo vecchio stampo, che scatta ancora in pellicola bianco e nero, per poter poi sviluppare autonomamente i propri rullini e le prove di stampa.

Nella sua breve biografia, abbozzata nell’intro del racconto, tra i tanti riferimenti frutto di chiacchierate mattutine al mercato, gli autori hanno inserito anche un omaggio a Ruggero Deodato, mancato proprio in quei giorni, che con il suo geniale quanto controverso film “Cannibal Holocaust” era stato forse il primo ad introdurre la tecnica del found footage come linguaggio narrativo.

Per la realizzazione delle immagini, dover interpretare Prian, mi ha portato anzitutto ad operare con le stesse finalità, ossia cercare le possibili location in cui poter evocare a livello visivo le stesse atmosfere suscitate in me dalla lettura del soggetto. Ho così selezionato cinque tipologie di casa, che seppur molto diverse, potessero in qualche modo ricondurre all’isolamento dell’abitazione del Forestiero, a cui ho associato ogni volta una visione di contesto del paesaggio circostante.

Per ampliare le possibilità di rappresentazione ho alternato strutture edilizie diverse non solo architettonicamente, ma anche ad un diverso stadio di costruzione: da quelle in buono stato, a quelle apparentemente disabitate, se non in stato di vero e proprio abbandono o quasi abbattute. Scattando in condizioni atmosferiche spesso differenti, con la pioggia o il sole, e in diverse stagioni, in modo da poter trovare possibili connessioni con le più diverse atmosfere del racconto, scandito da scene narrative ambientate in differenti momenti dell’anno.

I luoghi che ho scelto sono zone che già conoscevo molto bene e che mi capita spesso di esplorare fotograficamente, ma in questo caso, basandomi sul racconto ambientato in una indefinita provincia italiana, su ispirazione degli autori, ho tentato di richiamare soprattutto l’atmosfera straniante e inquietante del “gotico padano”, attraverso uno stile che potesse essere congeniale alla mia predilezione per la fotografia di paesaggio.

Ho attinto anche a riferimenti più disparati, sia letterari, dalle descrizioni della provincia americana di autori che amo, come Stephen King o Joe R. Lansdale, che cinematografici, non solo Pupi Avati o Ruggero Deodato appunto, ma anche Alfred Hitchcock, Tobe Hooper, o Sam Raimi, solo per citarne alcuni.

A livello fotografico mi hanno ispirato autori come William Christenberry, che dedicò la sua esistenza ad esplorare e fotografare l’architettura rurale in via di estinzione del sud americano, concentrando l’attenzione anche sugli aspetti psicologici del rapporto tra i luoghi e la memoria, con inquietanti composizioni di paesaggi ed edifici abbandonati. Ma anche serie come “On This Site” di Joel Sternfeld, con le sue immagini poetiche di paesaggi ordinari in cui avvennero accadimenti tragici della storia criminale americana, o “Der Baum” di Erik Van Der Weijde, le cui storie invisibili dietro alle immagini risultano estremamente palpabili e perturbanti.

Dal lavoro di questi autori ho infatti imparato che non si può mai sapere cosa si cela dietro la facciata di una casa o la superficie di un’inquadratura, la nostra comprensione della fotografia di un paesaggio è infatti inevitabilmente condizionata dal nostro modo di leggerla alla luce di quello che sappiamo. Ed è proprio questo affascinante potere evocativo delle immagini associate alla scrittura che ho cercato di trasferire nelle istantanee realizzate per l’Assedio.

Intervista a Giuliano Manselli / Droma Studio

L’idea di produrre fisicamente il racconto, nasce in maniera tanto naturale, quanto singolare, al mercato di quartiere. Il fantastico banco di fiori finti di Francesco, che io e Barbara conosciamo fin dai tempi del liceo, rappresenta infatti non solo una tappa obbligata del venerdì mattina, un’occasione per parlare del più e del meno, scambiarci idee e raccontarci quello che facciamo, ma è anche lo studio en plein air nel quale, la mattina presto, Francesco e Andrea si incontrano abitualmente per concepire e dare vita alle loro storie. Proprio in una di queste occasioni, Francesco ci ha parlato di questo racconto che aveva appena finito di scrivere con Andrea, e della sua volontà di provare a trasformarlo in qualcosa di diverso dal concetto classico di libro, invitando Barbara a contaminarne la narrazione con il suo linguaggio fotografico.

Da un punto di vista materiale, trattandosi di un racconto breve, abbiamo così ragionato sulla possibilità di progettare insieme un prodotto low budget, adottando soluzioni che ci permettessero di coniugare la componente letteraria e quella visivo-fotografica in maniera non convenzionale.

In quest’ottica, prendendo spunto dalla mitica collana I Millelire, abbiamo pensato subito ad un opuscolo pinzato in un formato A6, tascabile, da poter realizzare con una semplice stampante laser monocromatica, su carta usomano molto leggera di colore ocra.

In modo da connotare il libretto con una nota cromatica in grado di accordarsi alle diverse stagioni del racconto, tanto alle fredde e plumbee atmosfere autunnali e invernali, quanto alle calde e soleggiate luci primaverili ed estive.

Per rendere più interessante e misterioso il prodotto ciascun opuscolo, numerato e firmato, è stato poi sigillato all’interno in una comunissima busta da lettere B6, con solo due delle cartoline tratte dalle differenti location fotografate da Fred B. Prian/Barbara, abbinando così il racconto a cinque possibili combinazioni diverse di immagini, raffiguranti ciascuna una casa con la relativa ambientazione esterna. L’idea di differenziare le buste con delle combinazioni di immagini diverse, ci ha permesso anche di attuare all’interno del registro narrativo una sorta di esperimento mentale. Abbiamo infatti provato a stimolare la fantasia del lettore, portandolo ad ambientare mentalmente la trama del racconto, a seconda della busta scelta, in cinque possibili scenari diversi. Partendo dal presupposto che la preliminare visione delle due cartoline avrebbe inevitabilmente condizionato la successiva esperienza di lettura.

Anche se di fatto tutte le immagini sono anche state inserite in sequenza, adottando una leggera trasparenza, come sfondo della parte testuale del racconto. Il riferimento nell’introduzione alla sparizione della troupe e alla smaterializzazione delle immagini cinematografiche, con la distruzione della pellicola, mi ha infatti fatto pensare alla possibilità di introdurre nella gabbia grafica una sorta di “dissolvenza incrociata”, che permettesse di accompagnare il lettore, pagina per pagina, integrando la componente visiva con la progressione dinamica del racconto.

Per coloro che in seguito ci hanno richiesto la possibilità di avere comunque tutte e dieci le cartoline, abbiamo poi progettato e realizzato anche una edizione limitata estesa, denominata ironicamente “deluxe”, costituita da un box in grado di contenere il tutto.

Trattandosi di un prodotto indipendente, anche a livello promozionale e distributivo ci siamo mossi in autonomia, attingendo ai reciproci contatti da poter mettere in campo e prediligendo di volta in volta contesti diversi tra loro per intercettare pubblici differenti in zone della città distanti tra loro.

Abbiamo organizzato ad esempio una prima presentazione dal vivo, con un piccolo allestimento espositivo, presso Litostudio in via Ripamonti, ad un pubblico composto principalmente da fotografi e artisti visivi. Il libro è stato presentato anche al “Covo della ladra”, in zona via Padova, una piccola libreria indipendente specializzata in gialli, noir, thriller e non solo, con un pubblico molto preparato ed appassionato di letteratura di genere; all’Osteria del Biliardo, quartiere Affori, in un clima più festoso e informale, confondendoci con gli avventori abituali di questo storico locale, mangiando e bevendo al suono di vecchie canzoni milanesi; e infine anche in Barona, nell’ambito di Kerigma, un interessante Festival dedicato alle autoproduzioni indipendenti, dove abbiamo avuto la possibilità di confrontarci con disegnatori di fumetti, illustratori, grafici, scrittori e piccoli editori.

Attualmente per chi volesse procurarsi L’Assedio, può trovarne alcune copie presso il Covo della Ladra, oppure chiedendo direttamente al mercato, al banco di Francesco.

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