Consigli di letture di fine estate!

Pablito El Drito | Settembre, 2024 | them


Dino Barra, Via Padova. Una periferia milanese sotto il regime fascista 1926-1943, Milieu

Appena uscito nella collana Ombre Rosse di Mileu, il secondo volume della trilogia su via Padova segue l’interessantissimo primo tomo, che copriva la periodizzazione tra la fine dell’Ottocento e le “leggi fascistissime” del 1926. In questo nuovo capito della storia dedicata alla via più lunga e meticcia di Milano la narrazione puntuale di Dino Barra ci porta fino alla fatidica data dell’ 8 settembre del 1943, la data dell’armistizio. In quel ventennio via Padova conferma la sua natura come luogo di vita e di resistenza di agguerriti gruppi di operai, al lavoro principalmente nelle fabbriche del quadrante nordorientale della città fino a Sesto San Giovanni. Gli operai, spremuti come limoni dalle politiche economiche del duce e del re, convivono nel quartiere con un milieu sottoproletario inquieto e anarcoide, che avevamo già imparato a conoscere nel primo libro dell’opera. Il proletariato di fabbrica, memore delle lotte e del conseguente miglioramento delle condizioni di vita delle lotte durante il biennio rosso, e il sottoproletariato illegale migrante, allergico per sua natura al controllo statale e poliziesco, come ci racconta Barra, hanno saputo resistere alla fascistizzazione della società italiana che avrà invece successo in altre parti del paese. Le fonti a cui l’autore ha attinto sono varie e contribuiscono a creare quella coralità doverosa in un libro di storia sociale e politica: la stampa dell’epoca, gli archivi di privati e dei partiti, le testimonianze dirette, gli scritti di alcuni intellettuali di passaggio, come anche le schede di questura e i documenti dei tribunali speciali. Nelle pagine del libro di Barra, che sebbene sia un saggio storico si legge con la semplicità di un romanzo, la microstoria di via Padova si incrocia con la grande storia italiana. Arricchiscono il libro alcune schede monografiche e un’appendice che contiene le biografie più significative dei combattenti partigiani di via Padova e dintorni.

Edouard Jourdain, L’autogoverno dei beni collettivi, Eleuthera

I beni collettivi, da con confondere con i beni comuni, sono micro-istituzioni che danno ai singoli la capacità di governare insieme alcune risorse. Rompendo con la nozione di proprietario che si concepisce come padrone della natura, in questo libro stringato ma densissimo di concetti politici, economici e soprattutto giuridici, Jourdain tratta di tutte quelle esperienze collettive che autogestiscono direttamente le risorse, in particolar modo quelle naturali. Nello scritto Jourdain parla ampiamente degli studi di Elinor Ostrom, vincitrice del premio Nobel per l’economia nel 2009, proprio “per aver mostrato come i beni comuni possano essere efficacemente gestiti da associazioni di utilizzatori” e per avere “rimesso in discussione l’idea classica secondo cui la proprietà comune sia mal gestita e debba essere presa in mano dalle pubbliche autorità o dal mercato”. Così veniamo a conoscenza del fatto che esperienze di self-government riguardano l’(auto)gestione delle foreste in Nepal, dei sistemi irrigui in Spagna, i villaggi di montagna in Giappone, le attività di pesca nel Maine o in Indonesia. Si tratta spesso di esperienze storiche, sopravvissute all’accentramento politico-economico esercitato dallo stato soprattutto dal XVII secolo in poi, ma esistono anche esperienze emerse recentemente, nate con lo sviluppo civile di Internet, come i beni collettivi informazionali o informatici, ad esempio la questione dei creative commons o delle esperienze collettive in rete sul modello di Wikipedia. L’autogoverno dei beni collettivi è testo utile, che tratta concetti attuali, complessi e controversi, per vedere oltre le dicotomie perduranti pubblico/privato e stato/mercato.

Amelia C., Vigliacchi! Il mio j’accuse al mondo degli adulti, Agenzia X

Qualche mese fa il mio amico editore Marco Philopat ha ricevuto una proposta editoriale da una ragazza giovanissima, di soli diciassette anni. Lo colpì molto lo scritto di questa liceale dai capelli rossi che si nasconde sotto il nickname Amelia C. Il pamphlet, uscito ora su Fulmicotone, collana diretta da Paolo Cerruto, è un’invettiva in venti capitoletti in cui Amelia C. , brillante quanto incazzata studentessa di un liceo milanese, dice quel che pensa del mondo degli adulti. Ci racconta la distanza che separa lei e la sua generazione da quella dei propri genitori, figli di quella Milano anni settanta o “da bere” di cui anche io – nato nel 1974 – faccio parte. Amelia C. osserva, racconta e soprattutto critica con sempre maggior distacco, come se fosse un’aliena su un astronave in viaggio verso un’altra galassia, l’universo genitoriale e in generale della generazione precedente la sua. Esprime giudizi duri, senza sconti, a chi a causa dell’età si pone in posizione di superiorità, o come dice lei, “su di un ramo più in alto”. La sua rabbia contro le ipocrisie degli adulti, incastrati nelle loro incomprensibili routine, contro le incongruenze tra quanto essi affermano e quanto invece sono i primi a non fare, sono un pugno nello stomaco, ben assestato, a tutti gli adulti che si sono adagiati in un mondo comodo, ma ingiusto e dal suo punto di vista falso. Un libro che dovrebbero leggere tutti i genitori, gli educatori e gli psicoterapeuti, per capire quanto in generali i giovani più svegli e sensibili pensano ma non riescono a dire. Amelia C. ha trovato le parole giuste con cui colpire nel segno.

D.Morgante e G.Costantini, Julian Assange. WikiLeaks e la sfida per la libertà di informazione, Altreconomia

Altreconomia ha dato nuova vita a una celebre graphic novel già uscita nel 2011 per Beccogiallo dal titolo Julian Assange. Dall’etica hacker a WikiLeaks, che era irreperibile ed era divantata nel frattempo un pezzo da collezione. Questa nuova incarnazione del romanzo a fumetti di Morgante e Costantini esce con una prefazione di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia e una postfazione dell’attivista hacker Sheila Newman. Il romanzo grafico si apre con la pubblicazione da parte di Wikileaks del video-verità “Collateral Murder”, che mostrò al mondo alcuni elicotteri da guerra americani che sparano su un gruppo di civili a Baghdad. Quel leak in particolare rese Julian Assange e la sua organizzazione giornalistica WikiLeaks amatissima da chi ama l’informazione libera e odiatissima dai governi di mezzo mondo. Quel video, insieme ad altri milioni di documenti resi disponibili a tutti, è in seguito costato al suo fondatore delle accuse gravissime. I capi d’accusa, formalizzati nel 2019, saranno ben 18, uno basato sul Computer Fraud and Abuse Act e gli altri 17 su leggi sullo spionaggio risalenti alla prima guerra mondiale (!). La graphic novel in verità non parla del processo perché non arriva alla seconda decade del nuovo millennio, ma racconta le vicissitudini di Julian dal suo primo arresto a vent’anni con l’accusa di essersi infiltrato in calcolatori appartenenti a un’università australiana e nel sistema informatico del dipartimento della difesa americano fino al 2011 circa. Ripercorre non solo alcuni stralci biografici dell’hacker australiano, ma anche le pietre miliari nella fondazione della sua organizzazione, inserendo alcuni flash su opere cinematografiche evocative del mondo hacker come “War games” e “I tre giorni del Condor”.

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