In Uganda un festival cambia lo status quo
Alessandro Volandi | Febbraio, 2018 | them
“L’Africa è un territorio culturalmente molto più aperto del nostro, e meglio predisposto all’incontro con la musica elettronica”; è ciò che mi ha detto un importante antropologo italiano con il quale ho avuto il piacere di parlare alcuni giorni fa.
Sono d’accordo per un semplice motivo: il terreno più fertile per un’attitudine artistica basata sulla sperimentazione e sul DIY è quello dove è più necessario imparare ad arrangiarsi con la realtà di cui si dispone. Non è un caso che l’house di Chicago e la techno di Detroit abbiano forti radici africane, a partire dal senso di comunità e di appartenenza che ne ha caratterizzato la nascita.
Nel frattempo ho letto il lungo articolo in cui Aaron Coultate di Resident Advisor (che ringrazio per le immagini concesse) racconta il suo viaggio alla scoperta della nuovissima ondata di musica elettronica in Africa orientale, che da Kampala, capitale dell’Uganda, ha messo in moto una scena di tutto rispetto, degna dell’attenzione internazionale.
Proprio questa città a pochi chilometri dal Lago Vittoria (il più grande del continente) è teatro di un momento meraviglioso in fatto di arte ed eventi: quello che sta succedendo attorno allo studio Boutiq Electroniq e soprattutto al festival Nyege Nyege e all’etichetta omonima, è un vero e proprio movimento di creatività sociale. Nascono organizzazioni come Youth-Connect, gestita da Wabwire Joseph Ian, che sostiene il bisogno di spazi dove poter dare vita alle idee, creare, sperimentare, imparare.
Le due persone che hanno innescato tutto questo sono Arlen Dilsizian, accademico greco-armeno che ha vissuto a Kampala per 7 anni, e Derek Debru, giramondo belga arrivato in Uganda dopo India, Stati Uniti, Giappone e Sud-est Asiatico. Dal loro incontro nasce il party Boutiq Electroniq, che fn da subito attrae un pubblico panafricano, proponendo generi diversi dalla musica degli altri club: oltre a techno, house e grime, i dj suonano kuduro, tarraxinha, balani, coupé-decalé, soukous.
Prima al Tilapia, poi al Bar 2-7, queste feste durano fino all’alba in un’atmosfera di libertà assoluta, dando spazio di espressione ad un seguito LGBTQ sempre più importante (in un paese dove l’omosessualità oggi è illegale, nonché motivo di frequenti scontri con istituzioni politiche e religiose). Secondo il ranking dell’Onu l’Uganda figura al 163° posto nell’indice di uguaglianza di genere. D’altra parte, le politiche sui migranti sono tra le più permissive al mondo, offrendo diritti all’educazione, alla salute e al lavoro. Un altro dato interessante è l’età media di questa nazione, che con 15.9 vanta la seconda popolazione più giovane del pianeta. Il quadro è chiaro: ad una maggioranza retrograda e conservatrice si oppone una nuova comunità giovane e aperta allo scambio, forte e determinata.
È questo lo scenario in cui si incontrano dj e producer che oggi formano il nucleo di Nyege Nyege, che in lingua luganda significa “sensazione di incontrollabile urgenza di muoversi, scatenarsi, ballare. Come spiega Dilsizian, “c’è integrazione naturale di musica e performance nella vita di ogni giorno. C’è fluidità tra l’artista e il pubblico, e tra la musica e la danza. In Africa la danza è molto meno determinata dallo spazio circostante, mentre in Europa il club sta al ballo come una galleria sta all’arte.”
Dal 2013 l’organizzazione è cresciuta rapidamente. La sede si trova a Bunga, un quartiere vivace e cosmopolita. Nel 2015 apre Boutiq Studio, per registrare musica con artisti locali e internazionali. Lo stesso anno si tiene la prima edizione del festival. Verso la fine del 2016 nasce Nyege Nyege Tapes, etichetta dedicata al territorio, le cui produzioni mettono insieme elettronica e percussioni indigene, senza un genere definito. Ogni cosa, dal profitto alle decisioni creative, viene condiviso. C’è in gioco molto più che la musica: uno degli obiettivi fondamentali di Nyege Nyege è l’autosufficienza.
Il festival si tiene in un resort abbandonato nei pressi di Jinga, vicino alla sorgente del Nilo, a qualche ora di auto da Kampala. Dura tre giorni e propone tutti i generi in qualche modo influenzati dalla musica africana. Con un picco di 7000 presenze è il più grande evento di musica elettronica mai organizzato in Africa orientale. Per venire qui la gente ha viaggiato da Rwanda, Sud Africa, Etiopia, Tanzania, Zambia, Congo, e soprattutto dal dal Kenya, dato che Jinga si affaccia su una strada di quasi 700 km che collega Nairobi a Kampala.
Non si sa ancora se nel 2018 ci sarà il festival. “Stiamo cercando altre opzioni” dice Dilsizian, “e valutando la possibilità di una campagna di fundraising per poterci spostare in uno spazio nuovo”.
In questa nazione così giovane c’è una generazione di artisti che si interfaccia con la tecnologia e inventa. La musica è un linguaggio universale e alcune persone hanno dimostrato che un festival può essere una strada economicamente sostenibile. Se ognuno prova a creare qualcosa la realtà cambia.